La semplificazione che non semplifica

ALCUNI GIORNI FA è stato annunciato che nel Decreto “semplificazioni” verrà ammessa la possibilità, per i medici, di certificare la malattia dei lavoratori anche mediante dati clinici constatati con “sistemi di telemedicina”. Per la verità, l’applicazione di tale disposizione, anche quando dovesse essere promulgata, sarebbe poi rimandata a un successivo disciplinare tecnico da emanarsi con apposito, ulteriore, decreto ministeriale. Tuttavia, stupisce che si associ il termine “semplificazione” al fatto che ora si potranno utilizzare strumenti telematici per rilasciare un certificato.

Questo aumenta solo le criticità e le problematiche medico-legali. La vera deburocratizzazione richiede al Governo e al Legislatore ben altre decisioni e ben altro coraggio. Mi spiego meglio. Premetto che questo Ordine si è sempre contraddistinto per chiedere a gran voce l’abolizione del certificato di malattia per i primi sette giorni. Roberto Anzalone, Segretario dell’Ordine di Milano e poi Presidente, venne gambizzato dai terroristi, nel giugno del 1977, per aver osato dire che era il lavoratore a doversi assumere la responsabilità dei primi giorni di malattia mediante un’autocertificazione e che per certificare una diarrea o una cefalea non c’è di certo bisogno di un medico. Inoltre, chi vi scrive, è autore di un articolo, pubblicato diversi lustri orsono, che dimostrava come la certificazione di malattia per i primi giorni è una pratica presente solo in Italia e (all’epoca) a Malta ove però vige un sistema sanitario pubblico ma con regole molto diverse dalle nostre. Nel resto del mondo, invece, semplicemente, la certificazione dei primi giorni di inabilità lavorativa non è richiesta. Al contrario di quanto viene sostenuto da parte datoriale in Italia, i paesi ove non vige la certificazione medica di malattia (cioè, appunto, la quasi totalità) non si caratterizzano affatto per l’assenteismo delle proprie maestranze. Anzi, ove è avvenuto il passaggio da una certificazione medica a una autocertificazione i tassi di assenteismo sono scesi.

È PUR VERO che l’Italia è il Paese dei certificati inutili. Un grande e poliedrico medico udinese, Giorgio Ferigo, scomparso nel 2007, scrisse uno stupendo pamphlet dal titolo “Il certificato come sevizia” in cui si osservava che la stragrande maggioranza dei certificati richiesti dalla Pubblica Amministrazione non ha nessuna ragione d’essere e che l’efficacia della certificazione (che nessuno va mai a misurare, a differenza del fatto che, doverosamente, si valuta con accuratezza qualsiasi altro atto medico diagnostico o terapeutico) è generalmente nulla. Il solo scopo del certificato, si leggeva su tale libricino, “è la trasformazione del facile nel difficile tramite l’inutile”. Da questo punto di vista, quale mai potrebbe essere il vantaggio di poter certificare una malattia mediante mezzi telematici? Dovremmo infatti chiederci se una videochiamata possa mai aiutare il medico nella diagnosi di una cefalea non complicata, oppure di un’insonnia per sindrome ansiosa o ancora di una gastroenterite acuta con diarrea. Al di là delle facili battute che potrebbe suscitare nel paziente la richiesta del medico di avere maggiore contezza di quanto sta accadendo, qual è il valore aggiunto, in questi casi, di una certificazione medica rispetto a quello di un’autocertificazione? E che “semplificazione” sarebbe mai utilizzare un medico per certificare qualcosa che comunque è e rimane non certificabile?

DA ULTIMO, come già accennato, anche sotto il profilo medico-legale la certificazione di malattia attraverso la televisita o mediante l’acquisizione di dati clinici con la telemedicina presenta, a mio avviso, numerosi problemi. Se la certificazione di malattia tradizionale ha come arduo scopo quello di constatare le reali condizioni cliniche del lavoratore e il fatto che egli, appunto, non possa svolgere la sua attività, come potrà un contatto mediante sistemi telematici attestare la completa inabilità lavorativa del paziente, soprattutto nella ricorrenza di sintomi lievi ma invalidanti? E quali saranno i dati clinici minimi da avere a disposizione? Basterà un contatto visivo? Saranno necessari (e con quale giustificazione scientifica) anche alcuni parametri vitali? Questo Ordine chiede, a gran voce, da molti anni, di semplificare per davvero l’attività dei medici, rimuovendo inutili ridondanze di carattere burocratico e abolendo i certificati e gli atti amministrativi inutili (per esempio le note AIFA e i Piani Terapeutici!).

L’autocertificazione dei primi giorni di malattia sarebbe senz’altro un grande passo verso questo obiettivo. La certificazione che utilizza strumenti telematici, al contrario, non semplifica un bel nulla, anzi rischia di complicare le cose e di mettere nei guai tanti medici; e di questo, credetemi, la Categoria non ne ha proprio bisogno!