Un po’ di mesi fa, qualche conoscente ben informato mi riferiva del fatto che i ragazzi che non riuscivano a superare il test di ammissione a Medicina in Italia, avrebbero potuto immatricolarsi all’estero e poi il titolo sarebbe stato loro riconosciuto dalle regioni. Io manifestavo le mie perplessità e, dentro di me, ridevo di cuore di questi rumors… pensando alle solite sciocchezze che, di tanto in tanto, si sentono dire su questo argomento. Naturalmente, ero e sono a conoscenza delle norme emesse durante l’emergenza, ma mai potevo immaginare che queste leggi eccezionali diventassero, nel più puro stile del “bel Paese”, norme (quasi) definitive. Vediamo che cosa è successo nel dettaglio. Tutto inizia con il decreto-legge emanato nel marzo 2020, allo scoppio della pandemia (convertito con modifiche dalla Legge 27 del 2020) che all’art. 13 così dispone “Per la durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga …” “… è consentito l’esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti che intendono esercitare sul territorio nazionale una professione sanitaria conseguita all’estero regolata da specifiche direttive dell’Unione europea. Gli interessati presentano istanza corredata di un certificato di iscrizione all’albo del Paese di provenienza alle regioni e Province autonome, che possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti …”. All’epoca, mi pareva evidente che quella fosse una norma d’emergenza, pur discutibile, che poteva però avere senso per consentire a medici e infermieri di Paesi esteri di dare una mano all’Italia. Mai avrei potuto immaginare che quella norma fosse poi reiterata e confermata dalla successiva legge n. 126 del 16 settembre 2021, di conversione di un altro decreto-legge, per “fronteggiare la grave carenza di personale sanitario e socio-sanitario che si riscontra nel territorio nazionale”. Questa volta la deroga era fino al 31 dicembre 2023. Ma non finisce qui. Il decreto-legge 198 del 29 dicembre 2022 convertito con la Legge 14 del 24 febbraio 2023 ha ulteriormente modificato il termine della deroga, portandolo al 31 dicembre 2025. In sintesi: medici (italiani o stranieri) laureati all’estero possono, con una semplice domanda alle regioni, esercitare sul territorio della Repubblica Italiana in barba a tutte le (altre) norme vigenti. Inoltre, il dettato della Legge viene interpretato in maniera estensiva e quindi abbiamo laureati che vengono da tutti i Paesi del mondo: da quelli europei non UE, a quelli di tutti gli altri continenti. In nome della fantomatica “grave carenza” di medici, si è creato un obbrobrio giuridico (o almeno io lo giudico così). Infatti, è come se ci fosse un doppio binario: da una parte i Colleghi che, con sacrificio e abnegazione, si laureano in Italia o affrontano il difficile percorso del riconoscimento dei loro titoli nel nostro Paese con esami integrativi e vaglio ministeriale e ordinistico. Dall’altra i Colleghi che, sfruttando una norma di Legge, preferiscono evitare questo complesso iter e sono, da subito, liberi di professare. Ora, io mi chiedo se questo può essere tollerato in un Paese civile. Mi chiedo se sia giusto trattare i nostri laureati così, tenendo anche conto che i nostri giovani devono emigrare all’estero per trovare lavoro e che noi, quindi, prepariamo medici che poi saranno costretti ad andare a lavorare altrove (qualcuno ha fatto un conto di natura economica e ha concluso che è come se noi regalassimo, ogni anno, 1500 Ferrari al resto del mondo). Per contro, la presunta carenza di medici, se riferita al complesso della categoria e al complesso del Paese, sappiamo essere una bufala. I dati Ocse 2022, riferiti al 2020, ci dicono che l’Italia ha un tasso di medici attivi del 4 per mille, perfettamente sovrapponibile alla media UE. Sono invece troppo pochi gli Specialisti e i Medici di Medicina Generale poiché, per anni e per ragioni biecamente economiche, ci si è rifiutati di fronteggiare il problema delle borse di studio post-laurea. Inoltre, già da cinque o sei lustri si parlava di picco di uscita dalla professione intorno al 2025 e quindi ci sarebbe stato tutto il tempo per programmare meglio gli accessi a Medicina, tenendo conto che i ritocchi che si fanno oggi, avranno effetto tra nove – undici anni. Ecco perché le normative di cui stiamo discutendo appaiono del tutto inutili nell’attualità ed anzi, creano sperequazioni intollerabili tra chi ha dovuto affrontare un percorso lungo e difficile e chi ha preso una scorciatoia (peraltro prevista dalla Legge) che svincola il professionista da molti obblighi (il rispetto del Codice Deontologico, l’obbligo di aggiornamento, l’obbligo di detenere un domicilio digitale, etc). Viene quindi il sospetto che siano proprio gli Ordini (che, tra gli altri, hanno il compito di controllare che questi obblighi siano rispettati da tutti) i veri bersagli che si vogliono colpire. Si tratta di Enti definiti dalla Legge come “sussidiari dello Stato”, completamente indipendenti dalla politica, che, di recente, si sono permessi di criticare la disorganizzazione, le inadempienze e le incongruenze dello Stato e delle regioni durante la pandemia. Sono, quindi, compagni di viaggio scomodi, per il potente di turno. In molti avranno pensato che, se passano queste norme in cui sono le regioni a iscrivere, di fatto, i medici laureati non in Italia, un domani lo potranno fare anche con chi ha fatto il corso di studi tradizionale. “… E finalmente ce ne liberiamo una volta per tutte di questi rompiscatole!” … avrà detto qualcun altro… Ora sta a tutti noi non far passare sotto silenzio questa vergognosa manovra e invertire la rotta.