In questo fine 2014 lo spazio maggiore sui giornali e telegiornali l’hanno avuto i discorsi di Papa Francesco, profondissimi concentrati di analisi spirituale e sociologica offerti con semplicità e amorevolezza senza pari.
Tra i tanti passaggi ce n’è stato uno che ben individua le cause della crisi della nostra società, insieme all’indicazione di come uscire: parlava della differenza tra opportunità e opportunismo.
Io credo che pochi altri concetti siano in grado di arrivare al cuore delle nostre difficoltà professionali come questo, che riassume quanto successo in un triennio che vedrà al suo scadere questa Commissione Odontoiatri lasciare il posto ad altri Colleghi.
Il dato più evidente di questo periodo è che chi ha puntato su di una marcata trasformazione commerciale della società ha corso a mille all’ora giocando sul fatto che pubblicità selvagge, prezzi irreali, creazioni di nuovi bisogni, ecc., sono talmente diffuse che le persone non le avvertono più come le pericolose distorsioni che sono.
E’ un problema che non investe solo l’odontoiatria (che per altro, dati gli alti costi e i consolidati luoghi comuni, si presta particolarmente bene ad una strumentalizzazione commerciale), ma investe tutte le professioni, soprattutto le libere professioni: i professionisti non sono più i depositari di una morale superiore a tutela dei diritti costituzionali, bensì l’ostacolo ad un incremento del PIL stimato intorno al 5 o 6 per cento. Cioè tra 75 e i 90 miliardi di euro, un’enormità che non si capisce da quale nicchia di mercato debba venire fuori, visto che nessuno ha soldi a parte i pochi ricchi che diventano sempre più ricchi.
Non sarà che la nicchia di mercato, guardata dal punto di vista dei proprietari di grandi capitali, non siano proprio i lavoratori autonomi stessi, da irreggimentare in ben strutturati centri lowcost?
Un discorso che va oltre la sanità, ma che trova nella sanità un esempio pianificato, se dobbiamo stare ad uno studio comunitario del 2000 che pronosticava rendimenti del 7 o 8 per cento per chi vi avesse investito. Evidentemente consci dei rischi, ai tempi c’erano state proposte di legge che impegnavano l’investitore al rispetto di un codice etico:il tutto è finito in niente, con grande lucro di chi ha svilito un’opportunità in opportunismo utilizzando la crisi come catalizzatore.
I grandi capitali di cui sopra sono frequentemente masse di soldi senza anima né colore, il cui decuplicarsi giustifica tutto, dal business del traffico di immigrati a quello dei rifiuti, da quello delle assicurazioni agli studi dentistici. A questo proposito, parlando di situazioni illegittime, secondo l’Eurispes un terzo degli studi odontoiatrici in franchising nel Nord Italia è di proprietà della criminalità organizzata. Ma, mi chiedo,anche situazione legittime come il recente accordo tra la più numerosa associazione di categoria e una compagnia assicurativa che avvalora prezzi che non si capisce come possano assicurare la qualità delle cure,non possono incidere pesantemente sull’odontoiatria italiana?
L’impiego dei capitali in sé non è quindi un indice di sviluppo, come vorrebbe far credere un certo tipo di establishment finanziario, ma abbisogna della coscienza di chi li usa per non limitarsi a ingrassare il classico sciame di locuste che lascia il deserto dove passa. Le cronache di questi giorni sono piene di queste storie, come sono piene di storie di amministratori che promettevano rinnovamento ed invece erano parte integrante del sistema che dicevano di voler cambiare.
Sarà che i discorsi di portafoglio e di poltrone sono più immediati di quelli di coscienza, ma è importante rendersi conto che sono quest’ultimi a creare le vere opportunità e a rappresentare la vera rivoluzione per cui combattere.
Per non finire come i polli di Renzo, litigiosi fino all’ultimo al servizio dell’interesse personalistico di turno.
Valerio Brucoli