SUICIDIO ASSISTITO. SECONDO I MEDICI LEGALI GRAVI RISCHI PER MEDICI E PAZIENTI

I medici legali mettono in guardia: la sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito apre alla necessità di una legge ben fatta, che non spalanchi ai medici (oltre che a malati e loro familiari) le porte delle aule dei tribunali. La Consulta ha dichiarato incostituzionale, a certe condizioni, l’articolo 580 del codice penale, che punisce con la reclusione fino a 12 anni chi determini/agevoli il suicidio altrui. Come nel caso di Marco Cappato che portò Dj Fabo, tetraplegico e sofferente (lo mostrarono i filmati in tribunale), in Svizzera in una struttura dove quest’ultimo si procurò la morte mordendo un pulsante per l’immissione di un farmaco letale. Dopo la decisione della Corte Costituzionale non correrebbe rischi penalmente, dunque, chi determini o agevoli il suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno, a patto che sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche “intollerabili” e sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
 
La non punibilità è subordinata al rispetto della legge 219/2017 sulle direttive anticipate di trattamento che vincola il medico ad attenersi all’indicazione del paziente-precedente o contestuale- di rifiutare o rinunciare alle cure incluse nutrizione, idratazione, ventilazione artificiale. In quella legge, il paziente non può dire no a trattamenti connessi alla deontologia professionale, all’osservanza della legge e delle buone pratiche cliniche. In questo caso però, ad attuare un proposito “liberamente ed autonomamente” formatosi nel malato, entra in gioco un terzo! La Consulta chiede una legge: un magistrato dovrebbe valutare l’esistenza di condizioni equivalenti a quella di Dj Fabo. E’ possibile che, una volta approvata una legge sull’argomento, sarà un medico, anche in una struttura pubblica, a decidere se il malato si trovi nelle condizioni che potrebbero far luogo a forme eutanasiche. Gli Ordini hanno ribadito che il medico deve dare la vita e non la morte, pena provvedimenti disciplinari, e hanno chiesto che ad avviare la procedura del suicidio assistito non sia un medico ma un pubblico ufficiale in rappresentanza dello stato. Per inciso, medici possono già essere equiparati a pubblici ufficiali. Hanno certo questo ruolo quelli delle commissioni che si occupano di stabilire le morti cerebrali. E spesso i “front men” di tali commissioni posti a certificare le condizioni dei pazienti sono i medici legali.
 
Quelli riuniti nella Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni chiedono oggi un tavolo medicina-istituzioni. Dicono che i paletti della consulta sono “solo in apparenza precisi”. Come si definisce, si chiedono, una patologia irreversibile? Le misure di sostegno vitale sospendibili sono ventilazione/nutrizione/od altro? Il paziente dev’essere pienamente capace quindi sono esclusi a priori dementi e anche soggetti affetti da alterazioni psichiche quali la depressione? «Rispetto alla legge sulle Dat qui c’è un salto di qualità, non c’è solo chi autodetermina la propria morte: si parla di terzi che prima erano puniti e ora a certe condizioni possono aiutare il malato a morire», dice Franco Marozzi, responsabile comunicazione Simla. «I magistrati hanno giudicato il caso di Dj Fabo, ma nei casi, presumibilmente limitati, in cui un nuovo dispositivo di legge sarà chiamato a dare indicazioni ci sono anche morti determinate da terzi, a condizioni che saranno dei medici a fissare. Tali condizioni implicano la valutazione di aspetti prognostici, di adeguatezza della terapia, persino di probabilità per il malato di accedere a trattamenti di sostegno in grado di superare il problema posto. Per dettarle crediamo serva il contributo di tutte le competenze impegnate in simili trattamenti. Penso ai rianimatori per la ridefinizione di ciò che è sostegno vitale, a chi è chiamato ad accertare la capacità del malato (non si tratta solo di quella “di intendere e di volere” di aspetto penalistico ma anche dei profili della capacità di provvedere ai propri interessi).
 
Si dovrà innanzi tutto decidere un metodo: è giusto indicare situazioni cliniche specifiche o non piuttosto dare indicazioni sfumate e margini di azione ampi per definire ciò che rientra o meno nella nuova legge?» Marozzi osserva che sullo sfondo c’è il rischio di contenziosi penali. «L’incaricato di pubblico servizio e medico, sarà chiamato a certificare che il paziente è “eleggibile”. Al di là dell’articolo 580 in teoria potrebbero entrare in gioco accuse anche gravi ai medici, per esempio in caso di non corretta interpretazione delle future prescrizioni legislative, come nel caso inquadrassero il paziente in maniera scorretta determinando quindi l’intervento per provocarne la morte. Come mettere d’accordo le istanze di pazienti, medici, familiari, legge? La sentenza non fa medicina, una legge invece deve tener conto della medicina e va scritta in modo chiaro, inquadrando meglio le proposte presenti in parlamento su cui siamo già stati chiamati in commissioni parlamentari come Simla senza però che avvenisse la nostra audizione anche per la crisi di governo estiva. Vorremmo poter continuare con Ordini e società scientifiche. Come medici legali noi siamo formati a porci domande, credo a maggior ragione utili in quanto siamo di fatto un trait d’union tra scienza medica e giuristi».
 
Intervista a Franco Marozzi, Segretario AMLA, a cura di Carlo Bernabei, Addetto Stampa AMLA