Questa prima parte dell’anno si chiude con una buona notizia per la Professione: la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 3467 del 8 giugno 2018, con la quale vengono posti i sigilli a una struttura per 6 mesi, perché in un messaggio pubblicitario non veniva citato il nome del direttore sanitario.
Non è tanto la sentenza in se che ci deve soddisfare, per alcuni può anzi sembrare eccessivamente severa, quanto le sue implicazioni e il messaggio che la suprema corte amministrativa dello Stato ha voluto esprimere.
Con questa sentenza il Consiglio di Stato ha di fatto confermato il potere dei competenti Ordini dei Medici e degli Odontoiatri di controllo del rispetto dei criteri di trasparenza e veridicità dei messaggi pubblicitari sanitari, a tutela dell’interesse alla salute dei cittadini.
La vicenda prende le mosse dall’attuazione della comunicazione n. 2004/83 della Commissione europea(ripresa con il d.l. 223/2006, c.d. “decreto Bersani”), con cui quest’ultima aveva formalmente richiesto agli Stati membri di rimuovere quelle restrizioni che impediscono al sistema economico e agli utenti di beneficiare dei vantaggi della concorrenza. Da qui aveva fatto seguito il proliferare di strutture ambulatoriali, costituite prevalentemente in forma societaria e, dunque, a preminente natura imprenditoriale.
La struttura ambulatoriale nel Comune di Sarzana, la cui autorizzazione sanitaria è stata sospesa dall’amministrazione comunale per sei mesi per la mancata indicazione nel Direttore Sanitario nei propri annunci pubblicitari, nel giudizio in parola ha sostenuto a sua difesa che la liberalizzazione della pubblicità in campo medico ha comportato l’abrogazione di tutte le norme precedenti incompatibili con tale normativa sopravvenuta e, in particolare, di quelle in materia di pubblicità sanitaria che facevano capo alla legge 175/1992.
La normativa sopravvenuta tuttavia, come sancito dal Consiglio di Stato, a conferma della ricostruzione sostenuta dal competente Ordine dei Medici e degli Odontoiatri, non ha espressamente abrogato anche il controllo da parte dell’Ordine medesimo nell’esercizio della pubblicità; bensì, ha inteso accordare al sensibile settore sanitario un ampliamento delle tutele in tema pubblicitario, ampliando sì la pubblicità delle informazioni ma facendo salvo sia “il potere di segnalazione da parte dell’Ordine professionale all’autorità competente della violazione delle norme da parte dei propri iscritti”, sia “il potere di sospensione dell’autorizzazione da parte dell’amministrazione”.
La decisione del Consiglio di Stato si pone pertanto in perfetta continuità con le conclusioni a cui poco tempo prima, il 4 maggio 2017, era giunta la Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di pubblicità sanitaria e di pratiche commerciali sleali con la sentenza nella causa C-339/15 – Vanderborght, in cui si afferma che la normativa nazionale non osta al diritto europeo allorquando venga in gioco la tutela della sanità pubblica e la dignità della professione di dentista, le quali costituiscono motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione alla pubblicità relativa a prestazioni di cura del cavo orale.
In conclusione, i giudici di Palazzo Spada hanno contemperato due interessi contrapposti, il libero mercato e la tutela della salute, facendo prevalere in linea di principio quest’ultimo, di fatto confermando l’impostazione dell’Ordine dei Medici di Milano secondo il quale in ambito di pubblicità sanitaria il cittadino deve essere sempre messo nella condizione di effettuare una libera e ragionata scelta di ciò che è meglio per la sua salute senza essere condizionato da messaggi di pura natura commerciale/promozionale.
Viene quindi confermato che le restrizioni in ambito di pubblicità sanitaria sono a tutela del cittadino/paziente che deve essere messo sempre nelle condizioni di sapere, nella più totale trasparenza, anche chi sia il responsabile sanitario della struttura a cui affida le sue cure.
Un caro saluto
Andrea Senna