CRONICITÀ, ROSSI (OMCEO MILANO) ASSEGNARLE DIRETTAMENTE A MMG

«Il semplice fatto di lavorare in gruppo non migliora automaticamente l’assistenza offerta dai medici di medicina generale». Ne è convinto il presidente dell’OMCeO di Milano Roberto Carlo Rossi che prende le distanze da alcune recenti inchieste giornalistiche secondo cui la tendenza ad associarsi comporterebbe soltanto vantaggi. «Lo stare in gruppo ha indubbiamente vantaggi operativi – riconosce Rossi – ma può aumentare il rischio di spersonalizzazione nel rapporto tra medico e paziente». Il presidente dell’Ordine milanese ritiene invece che debba essere recuperato e potenziato il ruolo di ascolto del medico di base: «ci scordiamo sempre che la medicina generale non consiste nel fare ricette quando le scatolette dei farmaci finiscono, ma è una disciplina che si occupa di fare prevenzione e comprende il dialogo con i pazienti per capire le loro necessità». Al recupero di questa figura, che ha sempre caratterizzato in maniera positiva la medicina del territorio in Italia, si frappone un ostacolo: la burocratizzazione. «Io una ricetta ce l’ho, ma nessuno la sta a sentire – lamenta Rossi – perché, pur facendo alla lunga risparmiare, inizialmente costa: far gestire direttamente una serie di problematiche croniche, come diabete o ipertensione ai medici di medicina generale. Gestire le cronicità non significa telefonare al paziente per prendergli l’appuntamento per i controlli dell’emoglobina… questi sono compiti di segreteria. L’aspetto assistenziale deve essere separato dall’aspetto burocratico, che deve essere in capo a qualcun altro. È invece importante che il medico parli periodicamente con i pazienti di stili di vita, fumo, attività fisica o alimentazione, dedicando tempo all’ascolto. Ma l’attuale carico di lavoro è già enorme e una responsabilità diretta sulle cronicità deve essere necessariamente remunerata, o riducendo il carico di pazienti a fronte di un compenso superiore oppure attraverso un finanziamento ad hoc ai medici che decidono di assumersi questo impegno aggiuntivo. In Lombardia si è fatta l’esperienza dei CReG (Chronicrelatedgroup) ma non era la strada giusta».

Renato Torlaschi