PROCESSO AL BIOTESTAMENTO: LA SENTENZA

Nell’udienza simulata, Barbara Rizzi (Direttore scientifico VIDAS) è stata accusata di ‘negligenza’. Il giudice Amedeo Santosuosso ha chiarito come, anche prima della legge 219 sulle DAT, le volontà del paziente debbano essere rispettate dal medico, pur in presenza di dissenso dei familiari.

Milano, 6 Settembre 2018 – In un’aula affollata e attenta, di avvocati, magistrati e medici all’interno dell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano, si è svolto un processo al biotestamento organizzato da OMCeOMI e Ordine degli Avvocati di Milano e promosso da Vidas.

Il dibattimento si è aperto con la presentazione del caso di una signora malata di SLA che aveva espresso ripetitivamente e in vari ambiti, all’équipe curante, ai familiari e agli amici, la sua volontà di non essere sottoposta a terapie invasive che, nel renderla dipendente da macchinari (respiratore, tracheotomia), avrebbe significato un’inaccettabile riduzione della sua qualità di vita.Volontà resa in assenza delle disposizioni di una legge come quella 219/17, entrate in vigore successivamente, e dunque diversamente interpretabile. Il caso è stato presentato da Barbara Rizzi, Direttore scientifico Vidas e medico palliativista, che nel processo era imputata, e secondo l’accusa, rappresentata dal PM Tiziana Sicilano, colpevole di negligenza. Rizzi non avrebbe valutato adeguatamente, come medico, l’ambivalenza delle volontà della paziente nei confronti dei curanti, da un lato, e dei figli, dall’altro.Di tutt’altro avviso l’avvocato difensore, Gianmarco Brenelli, che, forte della testimonianza della psicologa Vidas, Sonia Cristina Ambroset, ha invece sostenuto la coerenza e sostanziale stabilità della volontà della signora che soltanto per compiacere i figli aveva accettato di sottoporsi a piccoli trattamenti terapeutici non invasivi.

Il Giudice, Amedeo Santosuosso, dopo aver ascoltato come testi la psicologa e il figlio della signora, ha assolto Rizzi per non aver commesso il fatto accogliendo la tesi della difesa e in virtù di quanto disposto dalla legge 297/17 che disciplina anche la responsabilità civile e penale dei professionisti della sanità e impone ai curanti di rispettare le volontà dei propri pazienti.

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