La riforma degli Ordini: un “temporale” in un bicchier d’acqua

In “Temporale”, uno dei più famosi “drammi da camera” di August Strindberg, si aspetta con ansia lo scoppio del temporale, che invece sembra non voler mai arrivare. Il commediografo svedese utilizza un fenomeno atmosferico come metafora dell’opportuna conclusione di quanto di drammatico è accaduto nella vita dei personaggi. Dopo aver aspettato e tollerato tanto, la situazione si è incancrenita ma ora la “crisi” che si profila all’orizzonte (atmosferica e narrativa) sembra finalmente risolutiva. Tuttavia, nel dramma, il temporale alla fine scoppia e la vicenda, a suo modo, giunge ad una conclusione. Abbiamo aspettato per molti lustri una legge di riforma degli ordini sanitari. La legge istitutiva è stata promulgata negli Anni Venti. Dopo il periodo fascista (che determinò lo scioglimento di queste Istituzioni), venne riproposta nel dopoguerra con un testo simile a quello dell’inizio Novecento. Non era affatto una cattiva Legge, ma, ovviamente, venne approvata in un mondo che poi è cambiato molte e molte volte. Ora, la Legge di riforma degli Ordini Sanitari (il così detto DDL “Lorenzin”) è stata votata poche ore prima dello scioglimento delle Camere ed è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale a più di un mese dalla sua approvazione. Entra in vigore a metà febbraio 2018. Una simile impazienza del Legislatore italiano, dopo tanta ignavia, è di per sé sospetta e subito si fa strada il dubbio che tutto sia stato fatto in fretta e furia, in periodo elettorale, per accontentare qualche professione sanitaria che ora può finalmente vantarsi di avere un ordine professionale. Il dubbio si rafforza leggendo il testo del provvedimento. Si tratta, nella peggiore tradizione del nostro Paese, di un polpettone, di una Legge omnibus che contiene diversi sottocapitoli (norme su i comitati etici, le sperimentazioni cliniche, la medicina di genere, …). La parte che riguarda gli Ordini sanitari si limita a piccoli aggiustamenti dell’esistente. In sintesi, si pone il limite delle due volte consecutive per l’eleggibilità alle cariche ordinistiche, si aumentano i mandati a quattro anni, si auspica il rinnovo generazionale e l’equilibrio tra i generi, si auspica l’apertura di seggi anche presso gli ospedali, si auspica l’utilizzo del voto elettronico, si separa la funzione inquirente da quella giudicante nell’ambito dei procedimenti disciplinari. Inoltre, sarà necessario avvalersi di un Revisore contabile non medico, iscritto in un apposito elenco. I “rumors” dicono (forse con ragione) che alcune di queste norme vadano in gran parte a colpire un determinato presidente di ordine che avrebbe fatto più d’uno sgarbo ai politici. In ogni caso, come si vede, sono state decise solo piccole accomodature di carattere burocratico-amministrativo. Francamente tutti ci aspettavamo di più ed infatti il Consiglio Nazionale della FNOMCeO, all’unanimità, ha bocciato il DDL “Lorenzin” poco prima che venisse approvato in via definitiva. Ma che cosa si aspettavano i Presidenti degli Ordini italiani? Gli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri sono organismi composti da tecnici (ora definiti sussidiari dello Stato), eletti dai Medici e dagli Odontoiatri. Le pubbliche autorità non hanno mai sfruttato questa peculiarità per emettere leggi e provvedimenti in ambito di sanità pubblica e di organizzazione sanitaria con il supporto tecnico di chi professa attivamente. Ci si aspettava quindi che la nuova Legge rendesse obbligatoria la consultazione della Federazione a livello nazionale e degli Ordini a livello locale per tutto ciò che concerne la vita sanitaria del nostro Paese e delle regioni. Continua a mancare, inoltre, il collegamento diretto con le Forze dell’Ordine e con la Magistratura, che invece sarebbe auspicabile per un organismo che deve gestire gli Albi e deve dare corso ai procedimenti disciplinari. Anche il problema della tutela della qualità dell’atto medico nei confronti del cittadino e dei rapporti degli Ordini dei Medici con la cittadinanza non viene minimamente affrontato, lasciandolo ancora una volta alla discrezione e all’iniziativa dei singoli. Insomma, un’occasione mancata per promulgare una Legge moderna e al passo con i tempi. Per contro, la Legge contiene un passaggio davvero sinistro, che limita pesantemente l’autonomia degli Ordini: “l) [gli Ordini] vigilano sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività` professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari secondo una graduazione correlata alla volontarietà` della condotta, alla gravita` e alla reiterazione dell’illecito, tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro”. Si tratta di un ulteriore, gravissimo, passo verso l’asservimento degli Ordini al Moloch del potere politico. In altri termini, se fosse possibile ricondurre l’illecito deontologico commesso da un iscritto a norme contrattuali o convenzionai o a disposizioni aziendali o regionali, qualsiasi nefandezza sarebbe possibile e l’Ordine sarebbe impotente e incapace di tutelare la stragrande maggioranza dei professionisti che quotidianamente si comportano in maniera deontologicamente corretta. Il dissidio tra deontologia e legge è un nodo gordiano che ricorre nella letteratura di tutti i tempi e che ha impegnato e fatto arrovellare i filosofi e i letterati. Ma il parlamento italiano non si ferma a queste pinzillacchere e, come un Alessandro Magno un po’ ignorante, liquida la questione in quattro e quattr’otto. D’altra parte, se c’è da approvare una Legge che è utile a portare un po’ di voti e se c’è da ridurre al silenzio qualche Ordine scomodo, perché non farlo?