Le scoperte scientifiche sono spesso frutto del caso, anche se è poi indispensabile l’intelligenza dello scienziato per cogliere e interpretare un determinato fenomeno e poi provare a riprodurre quanto di nuovo si è osservato cercando di spiegarne le cause e sfruttando al meglio ciò che si pensa di aver capito. Le cronache ci raccontano che la sera dell’8 novembre 1895, Conrad Roentgen stava studiando i raggi catodici e la natura della strana fluorescenza verde che si produceva su uno schermo rivestito da platinocianuro di bario al passaggio della corrente in un tubo catodico, ancorché rivestito di una copertura nera. Sappiamo come Roentgen fosse daltonico e come, per vedere meglio tale fluorescenza, fosse costretto a schermare accuratamente la stanza in cui lavorava con carte e teli neri. Ebbene, il Fisico notò casualmente che nel momento in cui l’elettricità veniva fatta passare nel tubo catodico, diventava brillante la lettera A tracciata da uno studente con la soluzione di platinocianuro di bario su un foglio lasciato in laboratorio. Non solo: quando il tubo era attivo, la A brillava della stessa fluorescenza anche al di fuori della stanza, nonostante le scrupolose schermature. Questi misteriosi raggi (che vennero chiamati “X”, poiché erano una vera incognita) si dimostrarono in grado di annerire una lastra fotografica; quando Roentgen provò a interporre una mano tra i raggi e la lastra fotografica, di fatto, si produsse la prima radiografia. Alexander Fleming, nel 1922, notò che una sua lacrima (in cagione del lisozima) caduta casualmente su una piastra di Petri, era in grado di non far sviluppare batteri. Sei anni dopo, lo stesso Fleming (esclamando il celebre “That’s funny…”) si accorse che un identico effetto sembrava averlo una muffa che aveva contaminato, sempre per caso, una coltura di Stafilococco aureo. Tutti sappiamo che tale scoperta portò alla nascita della penicillina e della Chemioterapia moderna. Potrei continuare a lungo. Mi sarebbe davvero facile dimostrare che bisogna pensare fuori dagli schemi e che l’interpretazione di un fenomeno in una situazione che diverge dalla norma può, in alcuni casi, diventare un’opportunità di crescita. Una crescita che, al contrario, non si potrebbe mai avere seguendo il tranquillo seminato tracciato dalle linee guida e dai percorsi già codificati da altri. Oggi, il problema delle linee guida viene con crudezza riproposto dall’Accordo della Stato-Regioni sull’appropriatezza e dal disegno di legge “Gelli” sulla responsabilità professionale medica. Nel primo caso, mediante linee guida imposte dal Ministero, si vuole limitare la prescrivibilità di alcune prestazioni, ritenute a rischio di inappropriatezza. Le sanzioni previste nelle prime stesure dei provvedimenti di legge erano pesanti, ma per il momento se ne riparlerà in altri, futuri decreti, vista la levata di scudi di tutto il corpo medico (e meno male!). Tuttavia, il metodo è erroneo ed i rimedi alla (presunta) mancanza di appropriatezza sono, a mio parere, del tutto sbagliati. Il convincimento nel perseguire una strada diagnostica o terapeutica dovrebbe essere, per professionisti come lo sono i Medici e gli Odontoiatri, di tipo squisitamente culturale e basato sulla consapevolezza che le evidenze scientifiche danno (solo) buoni suggerimenti. Inoltre, bisognerebbe una volta buona mettere mano all’educazione sanitaria nelle scuole (ma quante volte lo abbiamo chiesto da queste colonne?) e far crescere i cittadini, formarli a diventare consumatori maturi e consapevoli di sanità. Una cosa che nessun governo e nessun politico hanno mai fatto perché dà frutti a distanza di alcuni lustri ed è quindi poco remunerativa in senso elettoralistico. Per quanto poi riguarda il disegno di legge sulla responsabilità professionale in discussione in questi giorni in Parlamento, chi scrive non ne vuole certo negare l’importanza e la validità, ma il passaggio relativo alle linee guida è, a mio parere, del tutto sbagliato e foriero di importanti problemi in sede giurisdizionale. Infatti, si prevede che solo il rispetto delle linee guida e delle norme di buona pratica clinica possa configurare, in caso di errore, la colpa lieve. È un principio davvero pericoloso, soprattutto se associato al fatto che solo le società scientifiche iscritte in un apposito albo ministeriale saranno autorizzate ad emanare le linee guida di cui sopra. A parte il fatto che non per tutto l’agire medico esistono linee guida o, al contrario, a volte ne esistono più d’una, a parte il fatto che l’essere o il non essere nell’albo ministeriale determinerà, o meno, il detenere un potere immenso (e quindi eccessivamente pericoloso!), ci corre l’obbligo di notare che il medico ha sempre il dovere deontologico di considerare di volta in volta i problemi clinici che gli si prospettano, ovviamente tenendo anche conto delle evidenze scientifiche in materia, ma innanzi tutto valutando il paziente che ha di fronte. Ma ciò che è più importante è che, come si è detto, se si dovessero seguire pedissequamente solo le linee guida, il processo scientifico si fermerebbe e l’esercizio della Medicina potrebbe essere affidato ad un bravo tecnico o, peggio, ad un bel computer. “La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere”. Speriamo che i nostri politici conoscano lo Zibaldone…