Non c’è pace nel travagliato ambito della responsabilità professionale. Nel 2001 la suprema Corte di cassazione, con la pronuncia 13533/2001 delle Sezioni unite aveva stabilito che fosse a carico del Sanitario l’onere di avere tenuto un comportamento diligente in caso di richiesta di risarcimento derivante da aggravamento o insorgenza di una patologia, dovendo il paziente semplicemente dimostrare l’esistenza di un “contratto”. Nel 2008 (Sentenza 577/2008) veniva stabilito la necessità di dimostrare che l’eventuale inadempimento del Sanitario fosse stato causa o concausa del danno denunciato. Nel 2013 (Sentenza 27855/2013) il concetto veniva ribadito: spetta al presunto danneggiato dimostrare il nesso tra inadempimento e produzione del danno. L’8 Luglio 2014, con la sentenza 15490, la Cassazione riporta nell’alveo originale l’interpretazione in materia, cassando una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Trento. Al danneggiato basta provare l’esistenza di un contratto, di “contatto sociale” con la struttura al quale si è rivolto, il nessocausa-effetto tra l’intervento subito e le sue conseguenze, senza provare l’errore o la negligenza del sanitario: basta il dubbio, e sarà il professionista a dover dimostrare che il mancato adempimento non ha inciso sulla produzione del danno.
¿
Sentenza Corte Suprema di Cassazione