A seguito delle molteplici richieste di informazioni pervenute all’Ordine da parte di Colleghi riguardo alla richiesta di pagamento tramite bollettino pervenuta dalla Società Consortile Fonografici per azioni, abbiamo richiesto parere all’avv. Enrico Pennasilico che di seguito riportiamo.
La società Consortile Fonografici per azioni, della quale Vi allego lo statuto tratto dal sito della stessa, ha indirizzato, come mi avete comunicato, una circolare agli studi dentistici milanesi con la quale, richiamate le norme dalle quali nascerebbe l’obbligo per il titolare dello studio per la diffusione di musica di sottofondo, di pagare un compenso annuo di € 144,00 per uno studio da 0 a 150 metri quadri, di € 240,00 per uno studio da 151 a 300 metriquadri e di e € 420,00 oltre 300 mq, e ciò per la sola diffusione, compensi annui maggiorati in caso di duplicazione e diffusione.
Assume SCF di rappresentare in Italia oltre il 90% del repertorio discografico nazionale ed internazione e di aver ricevuto incarico dai propri aderenti, più di 150 case discografiche, di gestire la raccolta dei suddetti compensi, ivi compresa la quota spettante agli artisti, segnalando che ulteriori informazione della sua attività erano reperibili visitando il proprio sito web: www.scfitalia.it
Sempre SCF assume che anche gli studi medici e professionali che diffondono musica registrata nel proprio ambiente di lavoro o nelle sale d’attesa sono tenuti a tale adempimento.
Ricorda quindi di avere avviato contatti con alcune associazioni rappresentative della categoria degli studi dentistici, ma di non aver raggiunto accordi di reciproca cooperazione sul punto.
Prosegue quindi invitando il titolare dello studio che utilizzasse nei propri ambienti musica di sottofondo, da qualunque fonte proveniente, inclusa quindi una radio o una televisione, a regolarizzare la posizione aderendo alla proposta di pagamento.
Conclude affermando che nulla è dovuto se nello studio non viene diffusa musica.
Le norme richiamate.
Allego il testo degli articoli citati ed in particolare gli artt. 73 e 73 bis della legge 22/4/1941 n.633 e successive modifiche aggiunte.
L’art. 73 della L. 22/4/41 n. 633 “Protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”. Tale norma testualmente recita: “Il produttore di fonogrammi, nonché gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che abbiano compiuto l’interpretazione o l’esecuzione fissata o riprodotto nei fonogrammi, indipendentemente dai diritti di distribuzione, noleggio e prestito loro spettanti, hanno diritto ad un compenso per l’utilizzazione a scopo di lucro dei fonogrammi a mezzo della cinematografia, della diffusione radiofonica e televisiva, ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite, nelle pubbliche feste danzanti, nei pubblici esercizi ed in occasione di qualsiasi altra pubblica utilizzazione dei fonogrammi stessi. L’esercizio di tale diritto spetta al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati.
2. La misura del compenso e le quote di ripartizione, nonché le relative modalità sono determinate secondo le norme del regolamento.
3. Nessun compenso é dovuto per l’utilizzazione ai fini dell’insegnamento e della comunicazione istituzionale fatta dall’Amministrazione dello Stato o da enti a ciò autorizzati dallo Stato.”
L’Art. 73-bis.
1. “Gli artisti interpreti o esecutori e il produttore del fonogramma utilizzato hanno diritto ad un equo compenso anche quando l’utilizzazione di cui all’art. 73 è effettuata a scopo non di lucro.
2. Salvo diverso accordo tra le parti, tale compenso è determinato, riscosso e ripartito secondo le norme del regolamento “.
Tale articolo è stato aggiunto alla legge n.633 del 1941 dall’art. 8 del DLgs. 16/11/1994 n. 685.
Come può vedersi tale norma ha riconosciuto l’equo compenso anche quando l’utilizzazione di cui all’art. 73 è effettuata a scopo non di lucro.
Stabilisce inoltre che tale compenso, salvo diverso accordo tra le parti, è determinato, riscosso e ripartito secondo le norme del regolamento.
Tanto premesso e ritenuto osservo.
Preliminarmente a me sembra che SCF ha inoltrato anche a chi nessun obbligo ha nei confronti della stessa, come essa stessa riconosce, una lettera che ha determinato danno consistito nella perdita di tempo conseguente alla lettura di fatti anche di contenuto pubblicitario.
In base al codice della privacy – D.Lgs. 196/2003 – a nessuno è consentito di inoltrare messaggi essendo vietato lo spamming e cioè una comunicazione a pioggia non richiesta.
Pertanto coloro che non diffondono musica nell’ambito del proprio studio ben potrebbero dolersi di tale attività illegittima chiedendo a SCF conto del suo operato e pretendendo la cancellazione dei dati posseduti e trattati illegittimamente da SCF.
In particolare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7del D.Lgs. n. 196/2003 già citato, il titolare dello studio ha diritto di ottenere da SCF l’indicazione dell’origine dei propri dati personali, delle finalità e modalità del trattamento, degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato (ex art. 5 comma 2), e ha inoltre diritto di ottenere la cancellazione o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, e di opporsi al trattamento dei propri dati.
La stessa norma prevede che il soggetto interessato, nel caso di specie il titolare dello studio, per esercitare i diritti di cui sopra, può conferire delega, oprocura a persone fisica, enti associazioni ed organismi.
Pertanto i soggetti interessati, titolari di studi dentistici, potrebbero conferire delega alla propria associazione di categoria, per la tutela del proprio buon diritto.
Sull’an debeatur.
Il quesito sottoposto al mio esame è se il titolare di uno studio dentistico che diffonda musica nell’ambito del proprio studio sia ricompreso nell’obbligo di cui agli artt. 73 e 73 bis della Legge n. 633/1941,.
Come abbiamo visto l’art. 73 riconosce un diritto ad un compenso per il produttore di fonogrammi e per gli artisti interpreti ed esecutori, per l’utilizzazione a scopo di lucro dei fonogrammi della diffusione radiofonica o televisiva nelle pubbliche feste danzanti, nei pubblici esercizi e in occasione di qualsiasi altra pubblica utilizzazione.
L’art. 73 bis introdotto dal D.Lgs. n. 675/94 già citato, ha esteso il diritto anche per l’utilizzazione a scopo non di lucro.
Attualmente quindi, che vi sia o non vi sia scopo di lucro, l’utilizzazione fa nascere il diritto.
Si tratta ora di stabilire se diffondere la musica nel proprio studio rientri nel concetto di pubblica utilizzazione . Per affrontare tale problema è necessario soffermarsi sulla natura dello studio odontoiatrico.
Senza entrare nella disamina specifica della complessa materia relativa alla distinzione tra studio e ambulatorio, oggi gli studi odontoiatrici all’interno dei quali vengono compiuti certamente atti chirurgici in senso tecnico, e dove sono allocate strutture ed apparecchiature complesse, sono ricompresi nella categoria tecnica di ambulatorio soggetto ad autorizzazione sanitaria.
Tale classificazione però non credo che possa essere sufficiente per ritenere lo studio odontoiatrico o l’ambulatorio odontoiatrico luogo pubblico o aperto al pubblico e ciò perché il luogo pubblico o aperto al pubblico è un luogo dove si ha diritto ad accedere nel rispetto, ovviamente,delle regole che ne disciplinano l’accesso.
A titolo di esempio, chiunque ha diritto ad entrare in un supermercato rispettandone le regole di accesso.
Viceversa nello studio ambulatorio odontoiatrico nessuno può accedere se non con il consenso del titolare dello studio.
A me sembra pertanto che lo studio ambulatorio odontoiatrico privato non è un luogo pubblico né un luogo aperto al pubblico.
Lo studio-ambulatorio odontoiatrico è un ambito rigorosamente privato all’interno del quale possono accedere soltanto coloro che il titolare dello studio consente che vi accedano.
Pertanto a me sembra che lo studio ambulatorio odontoiatrico non rientra nelle categorie di cui all’art. 73 L. n. 633/41 perché non è un pubblico esercizio e perciò non può parlarsi di pubblica utilizzazione dei fonogrammi.
Lo studio-ambulatorio odontoiatrico è un ambito squisitamente privato dove il libero professionista esercita la propria libera professione e all’interno del quale pertanto il titolare può ascoltare, da solo o con i suoi dipendenti o con i suoi pazienti, della musica senza dover pagare alcunché di quanto previsto dalla legge che tutela il diritto di autore e gli altri diritti connessi così come colui che organizza una festa tra amici a casa propria, anche con numerosi partecipanti, non è tenuto a pagare alcunché per la musica che diffonde nella propria abitazione.
Ove mai un giudice dovesse ritenere applicabile allo studio ambulatorio odontoiatrico tali norme, sarebbe lecito dubitare della legittimità costituzionale della normativa così interpretata essendo evidente la irragionevolezza di equiparare uno studio odontoiatrico ad un pubblico esercizio e considerare la diffusione della musica in ambito di uno studio ambulatorio odontoiatrico quale pubblica utilizzazione.
Sul quantum debeatur.
Nella denegata ipotesi che dovesse ritenersi rientrare lo studio-ambulatorio medico nelle previsioni della normativa di che trattasi, non potrebbero non sorgere perplessità anche circa la quantificazione degli importi richiesti e potrebbe valutarsi l’opportunità di ricercare un accordo per una determinazione di un importo assai più modesto.
Invero la legge parla di diritto ad un compenso senza però specificare la misura dello stesso demandandolo a norme regolamentari che mi riservo, occorrendo, di valutare successivamente.
Quanto richiesto e quantificato da SCF non mi pare faccia riferimento al regolamento citato dalla legge e quindi, allo stato, non comprendo chi sia l’autore e quale sia la fonte della quantificazione che pertanto allo stato non posso che ritenere arbitraria.
Tanto premesso e ritenuto operativamente potrei suggerire i seguenti moduli comportamentali:
1 il titolare dello studio che non diffonde musica potrebbe dolersi con SCF per la lettera ricevuta;
2. il titolare dello studio che diffonde musica potrebbe contestare l’obbligo di debenza in principalità nell’an e in via gradata nel quantum.
Ritengo però che per motivi di opportunità e praticità non debbano essere assunte iniziative di tal tipo.
Mi appare infatti più opportuno che i titolari di studio iscritti ad organizzazioni professionali, quale ad esempio l’ANDI, affidino alla propria associazione la tutela del loro diritto perché sia l’associazione professionale a valutare la questione e ove condivida le valutazioni qui espresse, contesti l’obbligo di debenza tutelando altresì la privacy dei propri iscritti che non diffondendo musica hanno il diritto di non essere disturbati da SCF.
Per quanto riguarda l’Ordine, trattandosi di questione certamente di interesse generale riguardante liberi professionisti, siano essi medici e/o odontoiatri, ben potrebbe aprire un dibattito sul tema o addirittura pendere posizione sulla questione, in specie ove dovesse condividere le valutazioni sopra esposte così come già sinteticamente ha ritenuto la Commissione Odontoiatrica.
Da ultimo va osservato che anche ammesso e non concesso che sussista l’obbligo di cui parla SCF la stessa dovrebbe dimostrare di rappresentare la casa discografica o gli autori e interpreti della musica che viene concretamente diffusa nell’ambito dello studio-ambulatorio odontoiatrico.
Se fosse vero quanto affermato da SCF che rappresenta in Italia il 90% del repertorio discografico, vorrebbe dire che esiste un 10% di repertorio che potrebbe essere diffuso senza in ogni caso che SCF possa in alcun modo alcunché richiedere.
Cordiali saluti.
(avv. Enrico Pennasilico)